lunedì 21 maggio 2007

Dino e Giovanni, fratelli vincenti

di MASSIMILIANO CASTELLANI

Due fratelli che vincono altrettanti campionati di serie C, nello stesso anno, non è una storia che capita di sentire tutti i giorni. La vicenda singolare è toccata in sorte a Dino e Giovanni, da calciatori: Pagliari I e II, rispettivamente tecnici del neopromosso Ravenna in serie B e del Foligno arrivato in C1. Due realtà di provincia accomunabili al di là della linea fraterna.

I giallorossi romagnoli sono ripartiti sette anni fa dal fallimento e la retrocessione d'ufficio in Eccellenza, ma ora sono tornati a rivedere la luce grazie al patron ravennate Gianni Fabbri, artefice del grande salto tra i cadetti. Storia analoga per il club umbro del giovane presidente Maurizio Zampetti che, in 5 anni, ha rianimato una realtà finita nell'oblio del dilettantismo. Una scossa estremamente positiva, la promozione in C1 dei Falchetti che arriva a dieci anni esatti dall'ultimo terremoto che ha colpito Foligno (settembre 1997). Due trionfi che portano il marchio della famiglia Pagliari. Una bella famiglia italiana, di ceppo maceratese, completamente nel pallone. E il pallone, nella casa di papà Ovidio, era entrato di prepotenza, portato dal maggiore dei suoi cinque figli. Dino appunto, classe '57, seguito a ruota da Giovanni ('61). La loro passione incontenibile ha poi contagiato Silvio ('67) che fa il procuratore di Quagliarella, bomber della Samp, e Ivo ('64) preparatore atletico che collabora nell'«Associazione Sportiva Dilettantistica Giovanni Pagliari», la scuola-calcio di famiglia (con sede a Macerata e Tolentino), dove la segreteria è affidata all'unica sorella, Manuela. E nello spirito della Scuola, forse, va ricercato il segreto di un modo originale di vedere il calcio da parte dei fratelli Pagliari. «La prima cosa che cerchiamo di far comprendere ai nostri bambini nella scuola calcio - spiega Giovanni - è la cultura della sconfitta, materia sconosciuta in Italia, soprattutto perché sono i genitori che hanno smesso di insegnarla ai propri figli». Insegnamenti preziosi, per chi sa da sempre che non si vive di solo calcio. «Nostro padre Ovidio era un direttore di banca e a me e Dino ripeteva che il calcio dovevamo prenderlo come un hobby, perché per prima cosa veniva la scuola e il diploma. Ci ha lasciati a cinquant'anni, ma i suoi precetti erano giusti e noi figli abbiamo cercato di seguirli fino in fondo». A 18 anni, Dino si diploma in ragioneria e, poi, risponderà alla chiamata della Fiorentina. Lo stesso farà Giovannino, qualche anno più tardi, con il Perugia. L'hobby a quel punto era diventato una professione. E in comune, oltre al cognome, i due fratelli si portavano dietro un marchio ingombrante che lo schivo Dino definisce quello di «giocatori pensanti». «Sia io che Dino - dice Giovanni - abbiamo sempre amato confrontarci con la gente della strada, riluttanti a tutte quelle forme di divismo che già alla metà degli anni '70 si erano innescate nel mondo del calcio. Questo atteggiamento però non era molto condiviso, ci davano dei “politicizzati”, e solo perché avevamo il coraggio di esprimere sempre le nostre idee, contrari a ogni forma di pregiudizio». Barba e capelli lunghi biondi, a Firenze fecero di Dino il più “irregolare” dei viola e il più forte nel dribblare le odiate interviste. Una sindrome che non l'abbandona anche nei giorni della festa-promozione di Ravenna: «Perché - dice - sono solo un allenatore, mica un tuttologo...». Non si sente un tuttologo neppure Giovanni, che però ha voglia di esprimere tutto il suo amore per questo sport che ha visto cambiare in maniera preoccupante. «Adesso si gioca solo per soldi. Ancora negli anni '80 era la passione la molla dominante. La prima volta che affrontai la Juventus quando mi ritrovai davanti a idoli come Zoff, Scirea e Bettega, stavo per mettermi a piangere. Era un sogno? Ai ragazzi di oggi, spesso manca proprio la capacità di sognare quando arrivano al professionismo. Rieducarli all'incanto di questo sport credo che sia il compito principale di noi allenatori e la vera sfida da vincere in futuro».

*Avvenire

IN ESCLUSIVA PER “IL RESTO DEL PALLONE”

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