martedì 19 giugno 2007

Corsi e Ricorsi


di FIORENZO BAINI


E’ già cominciata la fase del ricordo e della rievocazione. Un anno fa di questi tempi iniziava la cavalcata che si sarebbe conclusa in modo trionfale a Berlino e tutti ricorderanno come, man mano ci appressasse alla meta finale, si ricorresse alle scaramanzie, ai corsi e ricorsi storici, dalla finale disputata ogni dodici anni alla semifinale giocata con la squadra del papa regnante e altre amenità del genere.
E’ finita bene ma quando cominciano i mondiali e quello di Germania non ha fatto eccezione, sono altre le costanti che riescono ad inquietarmi e qui le elenco perché forse potrebbero risultare utili per quando, in Sudafrica, guarderemo la palla di cristallo o consulteremo i fondi del caffè.

La prima costante è che, in linea di massima, quando l’Italia fa bene la prima partita sbaglia la seconda e viceversa. Nel 1994 mancammo clamorosamente contro l’Eire per buttare il cuore oltre l’ostacolo contro la Norvegia superandola con merito. Nel 1998 Baggio ci tenne aggrappati al pareggio contro il Cile nella prima partita per poi trovare una vittoria convincente contro il Camerun. Nel 2002 i mass media non avevano ancora cessato di celebrare la mitica vittoria contro il mediocre Ecuador che già la Croazia ci aveva steso.
In fondo nel 2006 la costante si è ripetuta; la vittoria contro il Ghana è stata inappuntabile sia nel risultato che nel gioco mentre la seguente partita contro gli USA è stata di una bruttezza rara.

Proprio questo, se ragioniamo di corsi e ricorsi, mi aveva inquietato perché, con la mente, sono andato alle Notti Magiche del 1990. L’incontro di esordio con l’Austria fu una delle più belle partite che l’Italia abbia mai disputato ad un mondiale perciò ci si aspettava tantissimo dalla seconda partita con gli USA che erano la cenerentola del girone, esattamente come in Germania.
Se è applicabile la teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici al calcio ne consegue che contro gli Stati Uniti si giochi sempre male. La domanda è: si gioca male perché sono LORO che ti fanno giocare male o perché c’è sempre da preoccuparsi quando l’Italia azzecca la prima partita del suo mondiale?
Nel 1990 la nazionale statunitense era forse peggio di quella attuale, come al solito molto agonistica ma neanche troppo fallosa; l’Italia fece un gol bellissimo con Giannini, poi mancò un rigore con Vialli e cominciò a sottovalutare gli avversari che, comunque, erano più propositivi rispetto a quelli visti in Germania tanto che, alla fine, il migliore fu forse Zenga che parò prima una terrificante punizione e poi replicò sulla ribattuta da pochi passi.
L’anno scorso è indubbio che, anche grazie al gioco pesante, sciocchezza di De Rossi a parte, gli Stati Uniti non lasciassero giocare ma era pur vero che non ci fu un approccio corretto alla partita.
Pensando allora alla brutta partita del 90 e a questa il ricorso storico mi faceva pensare ad un mondiale ben giocato ma alla fine perduto.
Se non è finita così forse è perché, sia in positivo che in negativo, i corsi e ricorsi storici nel calcio non sono una legge scientifica bensì una pura opinione ma soprattutto perché c’è qualcosa nella testa dei calciatori italiani come nel DNA dell’intera nazione che porta a dare il meglio quando si è sull’orlo del baratro. Qui sì può intervenire la filosofia. L’Italia e la sua nazionale non hanno l’horror vacui; non si fa nulla per evitare il precipizio, magari vi si precipita pure ma, come nessun altro, ci si aggrappa alla minima sporgenza , si risale e si riemerge quando ormai si era dati per morti e sepolti.
L’Italia non è stata mai grande come nell’immediato dopoguerra, nell’orrore e nella desolazione e la nazionale italiana pure, in condizioni calcisticamente simili. Ma non basta, come scaramanticamente credono i media, che ci si appressi agli appuntamenti mondiali in situazione di scarsa credibilità. No, occorre che anche l’approccio sia sbagliato perché se no quello che è fondamentale in queste competizioni cioè partire col piede giusto è utile per tutti ma non per noi. A noi serve che la nostra squadra sia credibile e che gli avversari ci terrorizzino.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Splendido articolo. Manca solo il giusto contesto.