di ANTONIO GURRADO
1. La sorpresa Poche chiacchiere, l’impresa di quest’anno l’ha fatta la Reggina. Partire con 15 punti di penalizzazione avrebbe steso un bue, e peggio ancora segnare tre goal alla prima partita e perderla. La bravura (conclamata) di Mazzarri è stata di essere riuscito a tenere saldo un gruppo che, per quanto privo di primi violini, ha dato risultati insperati non solo in termini di punti ma anche come efficienza: con 52 reti segnate, la Reggina ha avuto il secondo miglior attacco delle squadre finite fuori dal giro europeo, ossia dall’ottavo posto in giù. La salvezza, benché attesa fino all’ultima giornata e benché forse irraggiungibile senza lo sconto di pena (4 punti in più), è stato il premio meritatissimo per una squadra che avrebbe potuto ambire ben altri traguardi; fermo restando che forse, senza la zavorra iniziale, non avrebbe saputo trovare le energie per eccellere. Sempre restando nel campo delle escluse dall’Europa, meglio della Reggina ha fatto solo l’attacco dell’Atalanta, che è anche riuscita a rispolverare Vieri. Una funzionale organizzazione di gioco, qualche bella soddisfazione (il 2-0 sul Milan, il 2-1 sulla Roma, tanto per dire) e un ottavo posto conclusivo niente male per una squadra appena tornata in A. In generale, va notato che tutte le tre neopromosse si sono salvate, più o meno scricchiolando, il che rende l’idea dell’alto livello della Serie B dello scorso anno, e fa ben sperare per quello, ancora più alto, che si annusa per la A dell’anno prossimo.
2. La conferma 97 punti, miglior attacco, distanza siderale dalla seconda e diciassette vittorie una dietro l’altra: solo l’Inter poteva vincere il campionato. In più, ha dimostrato di saper vincere non solo le partite che avrebbe dovuto pareggiare (andata e ritorno con la Fiorentina, tanto per dire), ma anche quelle che era quasi riuscita a perdere (la Supercoppa con la Roma, se ve la ricordate ancora). In più, ha in Ibrahimovic un investimento sicuro per il futuro (se resta dov’è). In più, finalmente Mancini l’ha fatta giocare con formazione e tattiche coerenti, e sugli schermi di San Siro è andato in onda addirittura il ritorno del terzino sinistro. Di meno, invece, l’eccessivo rilassamento nella seconda parte della stagione e il sospetto che senza il terremoto estivo sarebbe arrivata ancora una volta terza - ma c’è tutto l’anno prossimo per dimostrare il contrario.
3. La domanda Il Catania s’è salvato e il Chievo è stato retrocesso; il punto sottratto al Siena per inadempienze finanziarie alla fine non s’è rivelato decisivo, salvandoci forse da un’estate di polemiche che, personalmente, mi sento di rinfocolare così: e se dopo la brutta faccenda al Catania, oltre alla squalifica del campo, fosse stato tolto qualche punticino?
4. La delusione Il Milan, senza se e senza ma. Sia chiaro che mi sto limitando a considerare il campionato, e che nella circostanza al Milan non è riuscito di fare quello che gli era sempre riuscito benissimo (distanziare l’Inter di una decina di punti in un paio di mesi) e di cui Galliani si era detto tanto sicuro quanto lo ero io, rimettendoci peraltro una birra con un amico interista. Ha sbagliato tutta la campagna acquisti estiva ed è dovuto correre ai ripari in gennaio. Ha perso tutti e due i derby, come non avveniva da 25 anni. È stato sconfitto dalla Roma, dal Palermo e dall’Atalanta (Udinese e Reggina oggettivamente non contano): una tragedia. Soprattutto, penalizzazione nonostante, è stato un grave errore focalizzare l’attenzione sul quarto posto come obiettivo massimo: una squadra del genere deve pensare a vincere comunque.
5. La follia Se l’Ascoli è stato retrocesso con una notevole dose di inevitabilità, di sfortuna e soprattutto facendo vedere cose gradevoli (Pagliuca, Eleftheropoulos, Soncin, Bjelanovic, Paolucci), almeno è riuscito a non arrivare ultimo, scavalcando in extremis il Messina che riesce nel record di venire retrocesso in serie B per due stagioni di fila. Temendo che essere richiamati all’improvviso in prima divisione e presentarsi con una squadra inadeguata non fosse sufficientemente temerario, quelli che a Tutto il Calcio Minuto per Minuto vengono chiamati i peloritani hanno provveduto a mettersi in balia dei voleri (isterici) della tifoseria, finendo per richiamare Giordano che era stato cacciato con ignominia poco prima, esonerandolo di nuovo, e facendo nelle ultime 27 giornate meno punti di quanti ne avessero fatti nelle prime 11. Alla stessa maniera, lascia perplessi il costume di richiamare l’allenatore esonerato, messo in voga dal Cagliari e dal Torino, come ad ammettere che se i presidenti (e i tifosi) avessero avuto più pazienza le squadre avrebbero concluso con meno fiatone.
6. Il goleador Questo campionato a 20 squadre non mi piace per niente e continuo ad aspettare che si torni a 16; ma, come previde qualche anno fa il sommo Adalberto Bortolotti, la (metaforica) apertura della frontiera bassa e il conseguente inabissamento del livello medio se non altro portano con sé una maggior facilità di realizzazione per gli attaccanti – non a caso, nell’ipertrofica serie A degli anni ’50, gli attaccanti erano bulimici, si pensi a Nordhal. Quest’anno abbiamo riscoperto Totti, che s’è infilato il pollice in bocca per 26 volte, indorandosi la scarpa e riscattando un Mondiale vinto senza brillare come ci sarebbe piaciuto (per non dire che evidentemente la sua scelta di rinunziare alla nazionale è giustificata dai dati di fatto, e per non dire inoltre che è prolifico non solo sul campo, visto che se continua a questo ritmo lui e sua moglie invertiranno da soli il calo demografico). Però è bello vedere che dietro di lui la classifica marcatori vede un ritorno di attaccanti abituati al fango e alle sterpaglie (Lucarelli, 20 goal; Riganò, 19 goal; Amoruso e Spinesi 17, Rocchi 16), nonché una coppia meravigliosamente viola, Toni e Mutu, che con 16 reti ciascuno ha segnato più della metà di tutti i goal della scintillante Fiorentina.
7. L’anno prossimo Indubbiamente è ancora presto per fare i maghi, ma è prevedibile che l’Inter voglia tentare una volta per tutte di vincere la Champions e magari riaprire, come nei favolosi anni ’60, un ciclo europeo di trionfi milanesi. Questo potrebbe lasciare maggior spazio in Italia: non alla Juventus, che sembra ancora in stato confusionale e farebbe bene a guardarsi sempre le spalle, e forse nemmeno al Milan, che ha bisogno di un po’ di puntelli nonostante che di notte balli sempre elegantemente; ma alla Roma e (giusto dietro) alla Fiorentina, che hanno fatto vedere il miglior calcio dell’anno, che hanno due allenatori fenomenali che iniziano a mantenere tutto ciò che promettevano e che hanno bisogno soltanto di riserve più solide per diventare grandi.
2. La conferma 97 punti, miglior attacco, distanza siderale dalla seconda e diciassette vittorie una dietro l’altra: solo l’Inter poteva vincere il campionato. In più, ha dimostrato di saper vincere non solo le partite che avrebbe dovuto pareggiare (andata e ritorno con la Fiorentina, tanto per dire), ma anche quelle che era quasi riuscita a perdere (la Supercoppa con la Roma, se ve la ricordate ancora). In più, ha in Ibrahimovic un investimento sicuro per il futuro (se resta dov’è). In più, finalmente Mancini l’ha fatta giocare con formazione e tattiche coerenti, e sugli schermi di San Siro è andato in onda addirittura il ritorno del terzino sinistro. Di meno, invece, l’eccessivo rilassamento nella seconda parte della stagione e il sospetto che senza il terremoto estivo sarebbe arrivata ancora una volta terza - ma c’è tutto l’anno prossimo per dimostrare il contrario.
3. La domanda Il Catania s’è salvato e il Chievo è stato retrocesso; il punto sottratto al Siena per inadempienze finanziarie alla fine non s’è rivelato decisivo, salvandoci forse da un’estate di polemiche che, personalmente, mi sento di rinfocolare così: e se dopo la brutta faccenda al Catania, oltre alla squalifica del campo, fosse stato tolto qualche punticino?
4. La delusione Il Milan, senza se e senza ma. Sia chiaro che mi sto limitando a considerare il campionato, e che nella circostanza al Milan non è riuscito di fare quello che gli era sempre riuscito benissimo (distanziare l’Inter di una decina di punti in un paio di mesi) e di cui Galliani si era detto tanto sicuro quanto lo ero io, rimettendoci peraltro una birra con un amico interista. Ha sbagliato tutta la campagna acquisti estiva ed è dovuto correre ai ripari in gennaio. Ha perso tutti e due i derby, come non avveniva da 25 anni. È stato sconfitto dalla Roma, dal Palermo e dall’Atalanta (Udinese e Reggina oggettivamente non contano): una tragedia. Soprattutto, penalizzazione nonostante, è stato un grave errore focalizzare l’attenzione sul quarto posto come obiettivo massimo: una squadra del genere deve pensare a vincere comunque.
5. La follia Se l’Ascoli è stato retrocesso con una notevole dose di inevitabilità, di sfortuna e soprattutto facendo vedere cose gradevoli (Pagliuca, Eleftheropoulos, Soncin, Bjelanovic, Paolucci), almeno è riuscito a non arrivare ultimo, scavalcando in extremis il Messina che riesce nel record di venire retrocesso in serie B per due stagioni di fila. Temendo che essere richiamati all’improvviso in prima divisione e presentarsi con una squadra inadeguata non fosse sufficientemente temerario, quelli che a Tutto il Calcio Minuto per Minuto vengono chiamati i peloritani hanno provveduto a mettersi in balia dei voleri (isterici) della tifoseria, finendo per richiamare Giordano che era stato cacciato con ignominia poco prima, esonerandolo di nuovo, e facendo nelle ultime 27 giornate meno punti di quanti ne avessero fatti nelle prime 11. Alla stessa maniera, lascia perplessi il costume di richiamare l’allenatore esonerato, messo in voga dal Cagliari e dal Torino, come ad ammettere che se i presidenti (e i tifosi) avessero avuto più pazienza le squadre avrebbero concluso con meno fiatone.
6. Il goleador Questo campionato a 20 squadre non mi piace per niente e continuo ad aspettare che si torni a 16; ma, come previde qualche anno fa il sommo Adalberto Bortolotti, la (metaforica) apertura della frontiera bassa e il conseguente inabissamento del livello medio se non altro portano con sé una maggior facilità di realizzazione per gli attaccanti – non a caso, nell’ipertrofica serie A degli anni ’50, gli attaccanti erano bulimici, si pensi a Nordhal. Quest’anno abbiamo riscoperto Totti, che s’è infilato il pollice in bocca per 26 volte, indorandosi la scarpa e riscattando un Mondiale vinto senza brillare come ci sarebbe piaciuto (per non dire che evidentemente la sua scelta di rinunziare alla nazionale è giustificata dai dati di fatto, e per non dire inoltre che è prolifico non solo sul campo, visto che se continua a questo ritmo lui e sua moglie invertiranno da soli il calo demografico). Però è bello vedere che dietro di lui la classifica marcatori vede un ritorno di attaccanti abituati al fango e alle sterpaglie (Lucarelli, 20 goal; Riganò, 19 goal; Amoruso e Spinesi 17, Rocchi 16), nonché una coppia meravigliosamente viola, Toni e Mutu, che con 16 reti ciascuno ha segnato più della metà di tutti i goal della scintillante Fiorentina.
7. L’anno prossimo Indubbiamente è ancora presto per fare i maghi, ma è prevedibile che l’Inter voglia tentare una volta per tutte di vincere la Champions e magari riaprire, come nei favolosi anni ’60, un ciclo europeo di trionfi milanesi. Questo potrebbe lasciare maggior spazio in Italia: non alla Juventus, che sembra ancora in stato confusionale e farebbe bene a guardarsi sempre le spalle, e forse nemmeno al Milan, che ha bisogno di un po’ di puntelli nonostante che di notte balli sempre elegantemente; ma alla Roma e (giusto dietro) alla Fiorentina, che hanno fatto vedere il miglior calcio dell’anno, che hanno due allenatori fenomenali che iniziano a mantenere tutto ciò che promettevano e che hanno bisogno soltanto di riserve più solide per diventare grandi.
IN ESCLUSIVA PER "IL RESTO DEL PALLONE"
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